L’Inps si esprime sulla compatibilità amministratore-dipendente

L’Inps si esprime sulla compatibilità amministratore-dipendente

L’Inps, con il messaggio n. 3359 dello scorso 17 settembre, fornisce un’apprezzabile disamina sull’annosa questione relativa alla compatibilità, in seno a una persona fisica, della carica di amministratore di una società di capitali con lo status di dipendente nella medesima società.

In passato, la circolare dell’Istituto n. 179 dell’8 agosto 1989 aveva escluso che per i “presidenti, gli amministratori unici ed i consiglieri delegati” potesse essere riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato valido con la stessa società.

Le precisazioni fornite in tale documento dovevano, tuttavia, ritenersi in parte superate già con la pubblicazione del messaggio n. 12441 dell’8 giugno 2011, che ha fatto propri i principi espressi sul tema dalla Corte di Cassazione.

Infatti, è opinione, ormai consolidata, della Suprema Corte che l’incarico per lo svolgimento di un’attività gestoria, come quella dell’amministratore, in una società di capitali non esclude astrattamente la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato.

In particolare, le sentenze n. 18476/2014 e n. 24972/2013 hanno stabilito che “l’essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente”.

Da tale principio deriva che:

  • la carica di presidente non è di per sé incompatibile con lo status di lavoratore subordinato poiché anche il presidente di società, al pari di qualsiasi membro del consiglio di amministrazione, può essere soggetto alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale. Non assume, peraltro, rilevanza l’eventuale conferimento del potere di rappresentanza al presidente, atteso che tale delega non estende automaticamente allo stesso i diversi poteri deliberativi;
  • la carica di amministratore unico della società è incompatibile con la qualità di lavoratore dipendente, siccome egli è detentore da solo del potere decisionale, di controllo, di comando e di disciplina dell’ente sociale;
  • l’amministratore delegato può o meno ricoprire al contempo il ruolo di dipendente a seconda della portata della delega. Difatti, se l’amministratore è munito di delega generale con facoltà di agire senza il consenso del consiglio di amministrazione, deve ritenersi a lui esclusa la possibilità di intrattenere un valido rapporto di lavoro subordinato con la società. Diversamente, l’attribuzione all’amministratore del solo potere di rappresentanza ovvero di specifiche e limitate deleghe non è ostativo, in linea generale, all’instaurazione di genuini rapporti di lavoro subordinato.

In ogni caso, afferma il messaggio n. 3359/2019, per l’ammissibilità del doppio ruolo amministratore-dipendente, assumono rilevanza “i rapporti intercorrenti fra l’organo delegato e il consiglio di amministrazione, la pluralità ed il numero degli amministratori delegati e la facoltà di agire congiuntamente o disgiuntamente, oltre – naturalmente – alla sussistenza degli elementi caratterizzanti il vincolo di subordinazione”. Più in particolare, devono sussistere le seguenti condizioni:

  • che il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno”;
  • che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene”;
  • che “il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società; in particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite”.

Il documento in commento analizza altresì la compatibilità tra lo status di socio e il ruolo di dipendente, affermando che il socio unico non può essere al contempo dipendente della società poiché in tal caso viene di fatto a mancare la soggezione del soggetto alle direttive dell’organo societario, detenendo egli la “sovranità” della società.

Invece, con riguardo alla figura del socio di società di capitali che assommi in capo a sé anche l’incarico di amministratore, non può escludersi a priori la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato. In tal caso, infatti, vanno valutate disgiuntamente, caso per caso, “sia la condizione di possessore di parte del capitale sociale sia l’incarico gestorio”.

Alessandro Bonuzzi Vedi tutti gli articoli dell’autore

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